La buona scuola del Manzoni occupato

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Diritti civili
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Documento finale dell’occupazione del liceo Manzoni. Milano, 24/01/15

manzoniQuest’anno, a seguito delle numerose assemblee tenute sulla proposta di riforma del sistema scolastico, la “Buona Scuola”, abbiamo deciso di occupare il nostro liceo. È stata sufficiente una prima lettura, nonostante l’ambiguità e la vaghezza dell’esposizione, per renderci conto di quanto siano inaccettabili per noi studenti alcuni aspetti di tale proposta: soprattutto, quello di basare, paradossalmente, il rinnovamento della scuola pubblica sui finanziamenti privati. In questi quattro giorni di occupazione abbiamo anche organizzato e partecipato a laboratori di studio e di discussione (non tramite un sondaggio online, come propone il ministero), nei quali sono emerse le critiche e le proposte che ci hanno portato a scrivere questo documento.

Ci rendiamo conto delle condizioni difficili in cui si trova lo Stato nel reperire i fondi necessari al sostenimento dell’istruzione pubblica, ciononostante crediamo fermamente che queste risorse siano spesso distribuite secondo un sistema di priorità che non condividiamo: citiamo come esempio il caso di grandi opere la cui utilità è del tutto discutibile, gli altissimi costi della finanza e della politica e spese militari anch’esse discutibili. E anche nel caso in cui il contributo finanziario dei privati si rivelasse assolutamente indispensabile, riteniamo fondamentale che questi non entrino mai in contatto diretto con la singola scuola perché ciò comporterebbe una dannosa dipendenza della stessa da strutture il cui principale scopo è arricchirsi. L’assunzione di un ruolo decisionale e amministrativo da parte del privato, difatti, comprometterebbe quella stessa autonomia tanto rivendicata dallo stesso Renzi. È proprio questa totale assenza di garanzie e di chiarezza che ci porta a mostrare la nostra preoccupazione. L’unica modalità plausibile per noi è, nell’eventualità, che il privato indirizzi l’investimento ad una cassa statale e sia poi compito dello Stato devolvere il fondo raccolto secondo le effettive necessità delle singole scuole, così da evitare disparità nella qualità dell’offerta formativa.

Una seconda questione per noi fondamentale è la gestione dell’alternanza scuola-lavoro: infatti riteniamo che gli stage, soprattutto per gli istituti tecnici e professionali, possano essere un momento di crescita per lo studente, a patto che siano facoltativi – duecento ore obbligatorie infatti sarebbero un vantaggio più per le aziende che per gli studenti, riconosciuti a livello scolastico e, soprattutto, che non sostituiscano il ruolo di un lavoratore, garantendo manodopera gratuita all’azienda, ma lo affianchino rendendo così l’esperienza formativa. Inoltre, all’interno della riforma, viene espressa in modo molto ambiguo la possibilità per la scuola di “commercializzare beni e prodotti” con l’azienda a cui è legata: anche su questo punto esigiamo dei chiarimenti precisi sulle modalità e sulle conseguenze, che temiamo possano rivelarsi vincolanti e dannose.

Per quanto riguarda la sempre più crescente presenza delle nuove tecnologie come strumenti didattici, pensiamo che sia inopportuno investire principalmente nella digitalizzazione anteponendola ai veri problemi dell’attuale scuola pubblica, come quello edilizio. Soltanto quando non ci si dovrà più preoccupare dei soffitti che crollano, allora si potrà cominciare a parlare di una digitalizzazione intelligente, comunque facoltativa, che non dovrà limitare la libertà di insegnamento e che non crei un ulteriore ostacolo burocratico.

Abbiamo anche delle perplessità per quanto riguarda il cambiamento sostanziale dell’avanzamento di carriera dei docenti, basato non più sugli scatti di anzianità ma su quelli di “merito”: tali “scatti di competenza” dipenderebbero oltre che da crediti formativi e professionali, dal giudizio di figure come ispettori esterni e ‘docenti mentori’ la cui presenza ci fa temere l’incrementarsi di dinamiche conflittuali tra i professori minacciando quella coesione e cooperazione che invece noi riteniamo vitale. Questo si
inserisce perfettamente all’interno di un’ottica di stampo economico che in nome di una maggiore “produttività” mira ad alimentare la competizione e l’individualismo, contrastando quello che secondo noi deve essere il fondamento della scuola pensata come comunità che agisce in un clima umano di collaborazione e solidarietà. Per questo pensiamo che una critica costruttiva possa e debba almeno in parte venire da chi con gli insegnanti ha un rapporto diretto e costante, ovvero gli studenti.

“Dulcis in fundo” (cit. pag. 126, capitolo 6, Buona Scuola), l’intento di accentrare i poteri amministrativi e gestionali nelle mani del dirigente scolastico al fine di un declamato dinamismo e progressismo, ci trova decisamente in opposizione. Così operando, la scuola prende una forma piramidale che vede al suo vertice il preside, ormai dirigente scolastico, diventare sempre più simile ad un dirigente aziendale e ad un uomo d’affari portando la scuola a non essere più luogo di formazione e crescita dell’individuo pensante e del futuro cittadino, ma volto al raggiungimento di una sterile eccellenza basata su criteri economici e finalizzata al plasmare lavoratori. Non è un caso che il filo conduttore di tutta la riforma della scuola sia appunto il lavoro: viviamo in un tempo di inevitabile convivenza con i problemi di disoccupazione e precariato e ideare una riforma scolastica in completa adesione all’andamento del mercato lavorativo ci sembra oltre che una presa in giro – perché se la disoccupazione dei giovani è a questi livelli non è certo solamente a causa delle lacune della loro formazione – anche controproducente e pericoloso. Tutto ciò costringe noi studenti a vivere lo studio in un’ottica dell’utile e a non apprezzare più lo studio per la bellezza ed il piacere della conoscenza. In questo contesto, alla base della piramide, a noi studenti, viene attribuito un peso del tutto inconsistente. Questa struttura verticale sembra rispecchiare perfettamente una diffusa concezione di velocità cui si associa automaticamente quella di efficienza e quindi di qualità. Di conseguenza sembra preferire al modello della gestione orizzontale e democratica, certamente più lento, quello di una gestione monocratica e granitica in nome di un dinamismo sopravvalutato. Crediamo che non debbano essere solo economisti ad occuparsi di una questione tanto delicata e piena di sfaccettature e che sia giusto che in essa giochino un ruolo fondamentale persone che appartengono al mondo della scuola e che ne hanno una visione disinteressata dall’interno. Noi non abbiamo la presunzione di poter redigere una riforma scolastica ma abbiamo il diritto ed il dovere di interessarci, discutere e non lasciare ad altri la responsabilità di prendere posizione.

Gli studenti del Liceo Manzoni occupato

‪#‎manzonioccupato‬ ‪#‎mediacenteroccupato‬

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